La Basilicata, terra di luce e di magia. La “masciara” e il “malocchio”.

Chi sono le “masciare”? Esistono ancora nella Basilicata contemporanea?  La magia è radicata nella nostra cultura fin da tempi remotissimi. Più recentemente, integrata con la religione cattolica ha dato luogo ad una serie di riti, credi e superstizioni che hanno caratterizzato la vita della gente lucana fino a più di un ventennio fa.

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Molti lucani ricorderanno il fenomeno della “fascinazione”, l’essere  “affascinati” era considerata una vera e propria sventura perché era spesso causa di inspiegabili mal di testa, di dolori diffusi in varie parti del corpo o di malesseri vari, come nausea, vomito, ecc. Il metodo per sfuggire a tale inconveniente era recarsi da una sorta di guaritrice che, con un vero e proprio rituale, che comprendeva il marcare la parte interessata con segni di croce, l’uso di un olio particolare e la pronuncia di formule ai confini tra la preghiera e la magia, determinava la risoluzione del malessere.

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Lontani ricordi di racconti della nonna materna mi riportano ad una delle figure più  tipiche del mondo magico della Basilicata. Quella  della “masciara”. Il termine rimanda alla “megera” della mitologia greca, una delle  tre Erinni o Furie, sorella di Aletto e Tisifone. Il nome deriva dal greco Μεγαιρα, “l’invidiosa”.

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Megera era preposta all’invidia  e alla gelosia e induceva a commettere delitti, come l’infedeltà matrimoniale.

Nella cultura popolare lucana la masciara è  colei  che compie atti e riti magici. Figura circondata da rispetto e paura in quanto le vengono attribuite qualità magiche che la collocano in una posizione “speciale” e perciò distinta all’interno della comunità di appartenenza. La quale la ritiene anche persona senz’anima per averla venduta al diavolo in cambio dei poteri magici capaci non soltanto di guarire specifiche malattie, ma di procurare anche dolori, determinare il crollo di una casa, distruggere un raccolto e, in casi estremi, causare la morte di una persona. Le sue azioni vengono di solito compiute su “commissione” di persone terze desiderose del male altrui. È raro che essa arrivi agli estremi appena detti perché i suoi interventi sono mirati soprattutto a neutralizzare le  fatture e le minacce contro l’integrità fisica o psichica di un individuo. Vi sono rari casi in cui la sua azione mira a rintracciare un tesoro nascosto da secoli, ma altrettanto raramente la sua azione va a buon fine. Questa figura supplisce il medico e il sistema sanitario deficitario o addirittura assente; la sua presenza è giustificata inoltre dalla credenza popolare secondo cui la maggior parte delle malattie si propagano per via aerea. Un ulteriore motivo consiste nel ritenere la “masciara” una “figura intermedia” tra il prete e il medico in quanto non cura malattie dello spirito e neppure i malesseri del corpo: il suo raggio d’azione si occupa della salute e del benessere della persona vittima di un malessere, soprattutto di natura metapsichica. Interessante è anche una ulteriore peculiarità, tuttavia piuttosto rara da riscontrare: di notte ella può immobilizzare un dormiente, che al risveglio avverte acuti dolori alla pancia o allo stomaco oppure vede ridotte le proprie capacità motorie e spesso anche psichiche. Ernesto De Martino ha notato che spesso tra la masciara e la vittima si ingaggia una vera e propria lotta tant’è che al mattino si possono notare lividi e graffi sul corpo della vittima (De Martino 1995, p. 74). Questi tipi di masciare, secondo lo studioso napoletano, a volte vivono in seno alla comunità, altre volte no tuttavia sono sempre sempre figure emarginate, senza volto, ombre non identificabili».

IL MALOCCHIO

Si ricorreva alla “Masciara” anche per liberarsi del malocchio. Ancora oggi, quando si fanno i complimenti ad un neonato, per evitare che sfugga al malocchio e continui a godere di buona salute, si aggiunge “Benedica!”. “Dio ti benedica!” o “Dio lo benedica!” altrimenti il complimento potrebbe essere giudicato di cattivo auspicio.

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Angelo Lucano Larotonda in “Lessico della magia lucana”così riporta, a proposito di questo fenomeno: “Il Malocchio è un genere di maleficio prodotto con lo sguardo da un individuo verso un altro ed è conosciuto fin dai tempi dalle tribù primitive. Consiste nella convinzione che lo sguardo di una persona possa avere un potere negativo nei confronti di un’altra, invidiata per qualche bene da essa posseduto e di cui l’invidiosa è priva, oppure perché vi è qualche motivo particolare che la rende “diversa”: la bellezza, la destrezza, il successo, i soldi, eccetera. La persona che getta il malocchio addosso ad un’altra è convinta di sollecitare una disgrazia che prima o poi arriverà a toccarla.

Il malocchio in tre categorie.

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In Lucania il malocchio è di tre categorie: 1) contro le persone; 2) contro gli animali; 3) contro le abitazioni. Contro le persone: quelle prese di mira sono soprattutto i bambini e gli sposi. Il bambino corre il pericolo di essere guardato con invidia malefica quando sta nella propria culla e per tale motivo vengono posti in essa vari à amuleti. Ancora di più egli corre dei rischi il giorno del suo battesimo, e cioè in occasione della sua prima uscita “pubblica”, perché durante il tragitto dalla casa alla chiesa e viceversa, egli può essere oggetto dell’invidia altrui (di una donna sterile, di qualcuno del parentado, di un nemico di famiglia) catalizzando su di sé una probabile malattia o addirittura la morte a breve.

La “masciara” in Puglia

Di masciare si racconta anche nella cultura popolare della vicina Puglia

Nei vicoli della Città Vecchia di Bari e nella provincia, la gatta masciàre era tra le streghe più note. Il termine che deriverebbe da Megera, una delle tre tremende Erinni, cioè personificazioni femminili della vendetta soprattutto nei confronti di chi colpisce la propria famiglia e i parenti, verrebbe anche dal verbo greco Μεγαιρα, “invidiare”. Le masciàre erano coloro che lanciavano il malocchio, spiavano nella case degli uomini, si arrampicavano sui tetti, facevano ammalare i bambini e si trasformavano in terribili gatti neri [1] attraverso l’uso di un particolare unguento. Da rito, la donna che in segreto era una strega aspettava che tutti in casa si addormentassero e, salita sul tetto della sua abitazione, si denudava guardando la luna. Cospargendosi con l’olio masciàro, recitava la famosa formula “Sop’a spine e ssop’a saremìinde / M’àgghi’acchìa a Millevìinde.” (Su spine e su (fra) sarmenti, mi troverò (sarò tra poco) a Malevento [2] (dalla strega.) e lanciandosi nel vuoto si trasformava in una gatta, per recarsi al sabba beneventano e raggiungere Lucifero sotto il grande albero di noce.

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Nel XVI e XVII secolo la presenza del noce e delle riunioni sabbatiche a Benevento è documentata nelle diverse relazioni e nei processi della Santa Inquisizione.

La leggenda delle tremende masciàre era così temuta nella Città Vecchia che per tanto tempo si credette che in un determinato arco del borgo antico, nei pressi del Castello Svevo, l’Arco delle Streghe appunto, si potessero incontrare streghe e demoni richiamati da oscuri rituali. Il loro compito consisteva nell’operare in contrasto con i comandamenti della religione cattolica. La gente, spaventata, evitava dunque il passaggio da quelle stradine che portavano all’arco e se costretti tentavano di proteggersi attraverso l’uso dello scongiuro, che avrebbe riportato la supposta gatta masciàre alle sue sembianze umane.

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Il rito così funzionava: bisognava farsi il segno della croce per tre volte e ripetere “Driana meste ca va pela vì, degghìa ngondrà Gesù, Gesèppe e Marì” (Maestra Diana che vai per la via, devo incontrare Gesù, Giuseppe e Maria.)

Si tramanda che una volta un marito si svegliò durante la notte e, non trovando la moglie accanto a sé, sospettò che fosse una masciàre. In assenza della donna rovistò per la casa e, nascosta in un posto inconsueto, rinvenne una bottiglietta con un unguento dallo strano odore. Svuotò la bottiglietta e sostituì il contenuto con dell’olio di oliva. La notte dopo, la donna ignara della sostituzione si unse pronunciando la formula e si lanciò nel vuoto; ma la trasformazione non avvenne e rimase stecchita al suolo per il violento urto.

Nei suoi studi di antropologia, così mi piace definirli, Alfredo Giovine ci tramanda che queste streghe, oltre che di gatto, potevano prendere la forma anche di altri animali e che una volta, il popolino narrava, queste si trasformarono in oche. “Mio nonno materno – scrive Giovine – soleva raccontare che ai suoi tempi due bellissime oche, dalle sembianze stranamente umane, furono catturate in piena notte in un vicolo della Città Vecchia e messe in un cassone. All’alba si trasformarono in donne nude che cercavano di coprirsi per la vergogna.”Gaetano Barreca

[1] I gatti erano già stati ufficialmente identificati come creature demoniache dalla bolla papale Vox in Rama emanata da Gregorio IX nel 1233, in cui i gatti neri venivano ufficialmente dichiarati strumenti del demonio e/o incarnazioni di Satana.

[2] In antichità la città di Benevento era chiamata Maleventum con antica discendenza dalla parola osca o sannita dove la radici Mal- significava pietra e dunque nulla aveva a che fare con il malum latino. Eppure, dopo la vittoria nel 275 a.C. dei Romani contro Pirro e i suoi elefanti, nel 275 a.C. i vincitori tennero a cambiare il nome che consideravano di malaugurio. Maleventum divenne Beneventum.

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Riferimenti bibliografici

  • Angelo Lucano Larotonda –  Lessico della magia lucana;
  • Ernesto De Martino – Sud e magia